Si segnala la sentenza n. 16134/2019 con la quale la Corte di Cassazione ha disposto la revoca dell’assegnazione della casa coniugale alla madre collocataria, per essersi la figlia trasferita in un’altra città – presso i genitori del fidanzato – ed iscritta all’università nello stesso luogo, manifestando la volontà di avere una vita autonoma rispetto ai propri genitori, anche se non dal punto di vista economico.
La madre ricorre in Cassazione impugnando il provvedimento di revoca, evidenziando che la figlia, maggiorenne e non autosufficiente, pur essendosi iscritta in una sede universitaria fuori città rientrava a casa compatibilmente agli impegni universitari e lamentando l’omessa considerazione del diritto di studiare lontano dalla città di residenza.
La Suprema Corte condivide la decisione di secondo grado rilevando che la giovane aveva “consapevolmente reciso il legame con la casa familiare intesa quale ambiente domestico necessario a garantire nella quotidianità quei riferimenti affettivi utili e di sostegno ad una crescita serena, in quanto comprensibilmente mossa dalla possibilità di una comunanza di vita con il fidanzato“.
Secondo la Corte d’Appello, quindi, la ragazza aveva costituito un “autonomo habitat domestico” distinto da quello originario, ormai disgregato.
Gli Ermellini ribadiscono che per aversi convivenza, ai fini dell’assegnazione della casa familiare, il figlio deve stabilmente dimorare presso l’abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi.
Il ritorno a casa deve, dunque, avvenire regolarmente e con frequenza: ne consegue che non si ha convivenza del figlio se questi, per un certo periodo piuttosto lungo, sia assente da casa, sia pure per esigenze lavorative o di studio ed anche se vi torni appena possibile.
Diversamente il collegamento con l’abitazione diventa troppo labile sconfinando nel mero rapporto di ospitalità.