La Corte di Cassazione, con sentenza n. 238/2017, ha stabilito che “in caso di morte di una casalinga verificatasi in conseguenza dell’altrui fatto dannoso, i congiunti conviventi hanno diritto al risarcimento del danno, quantificabile in via equitativa, subito per la perdita delle prestazioni attinenti alla cura ed all’assistenza da essa presumibilmente fornite, essendo queste prestazioni, benché non produttive di reddito, valutabili economicamente, ciò anche nell’ipotesi in cui la stessa fosse solita avvalersi di collaboratori domestici, perché comunque i suoi compiti risultano di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d’opera dipendente“.
Nella fattispecie erano deceduti sia il conducente dell’auto investitrice sia mamma e figlia a bordo dell’auto travolta dall’altro veicolo a causa dell’alta velocità tenuta da quest’ultimo.
Venivano, dunque, convenuti in giudizio gli eredi del conducente investitore: nel merito veniva dichiarata la responsabilità esclusiva di quest’ultimo con conseguente condanna degli eredi al risarcimento dei danni e rigettata la richiesta di danno patrimoniale patito dai congiunti per la perdita rispettivamente della moglie e della madre.
A seguito dell’impugnazione in Cassazione del rigetto della domanda di danno da perdita dell’integrità familiare, la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’Appello che aveva ritenuto il danno non patrimoniale da perdita dell’integrità familiare compreso nella liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del congiunto.
La perdita di una persona cara comporta, infatti, una sofferenza morale che non si configura quale danno autonomo, ma quale aspetto da considerare nella liquidazione del danno non patrimoniale.
Quanto al danno patrimoniale subito per il decesso della moglie casalinga, la Cassazione ha accolto la doglianza di parte attrice, anche in considerazione del rilievo attribuito dalla giurisprudenza di legittimità, sotto il profilo del danno patrimoniale, all’attività svolta dalla donna nell’ambito domestico.
Ai fini della liquidazione del danno patrimoniale da perdita del lavoro domestico svolto da un familiare deceduto per colpa altrui, la prova che la vittima lo svolgesse si desume presuntivamente – ex art. 2727 c.c. – dal fatto che non avesse un lavoro.
L’onere della prova contraria, ovverosia provare che la vittima, benché casalinga, non si occupasse del lavoro domestico, spetta, invece, a chi nega l’esistenza del danno.