Diffamazione

Si segnala la sentenza n. 522/2017 della Corte di Cassazione con la quale è stata confermata la condanna per diffamazione di un uomo che ha offeso l’ex moglie qualificandola “mantenuta” nella causale dei vaglia postali per il pagamento mensile del mantenimento.

Del tutto superfluo il tentativo dell’uomo di sminuire l’accaduto sostenendo che nessuno avrebbe letto la frase diffamatoria, considerata la tutela della privacy per cui il messaggio deve pervenire al destinatario in busta chiusa.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato in quanto il termine “mantenuta” “risulta offensivo della reputazione della donna, riferendosi alla nozione comunemente accettata in ambito sociale di percettrice di reddito, in assenza di qualsivoglia prestazione lavorativa“.

Gli Ermellini osservano, inoltre, che “il contenuto del vaglia postale non resta riservato tra il mittente ed il destinatario, ma, per necessità operative del servizio postale (registrazione, trasmissione e comunicazione al destinatario), entra a far parte del patrimonio conoscitivo di più persone addette all’ufficio incaricato“.

Ricorrono, pertanto, i presupposti di cui all’art. 595 c.p. secondo cui “ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, che l’autore della frase lesiva dell’altrui reputazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri“. Ed ancora La Cassazione conclude affermando che “deve presumersi la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora l’espressione offensiva sia inserita in un documento (nella specie un vaglia postale) per sua natura destinato ad essere normalmente visionato appunto da più persone“.

Ecco, dunque, le ragioni dell’inammissibilità del ricorso e della condanna dell’uomo.

 

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