Distinzione tra figli

Si segnala la sentenza della Corte di Cassazione (28.09.2017) che, in relazione ad un caso di omicidio del figlio adottivo, ha ritenuto venga meno l’aggravante del legame di sangue e che la pena prevista non sia, pertanto, l’ergastolo.

Nella fattispecie il padre adottivo aveva ucciso, in uno scontro corpo a corpo, il figlio che stava tentando di difendere la madre, in occasione dell’ennesima lite tra i genitori.

L’uomo era stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado.

Secondo la Suprema Corte, invece, mancando il vincolo di consanguineità non può esservi condanna a vita.

La sentenza ha suscitato un certo scalpore specie avendo riguardo alla riforma del diritto di famiglia del 2012 che ha equiparato figli legittimi, naturali ed adottivi.

Secondo il codice penale la distinzione permane: nella fattispecie è stato applicato l’art. 577 c.p. che prevede l’ergastolo per omicidio contro un «ascendente» o «discendente» ma al comma 2 precisa che la pena della reclusione va dai 24 ai 30 anni «se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo…».

Vale dunque il vincolo dello ius sanguinis.

Sulla vicenda si è espressa qualche mese fa la CEDU (Corte Europea dei Diritti Umani) che ha condannato l’Italia al risarcimento dei danni morali (trentamila euro oltre spese legali) subiti dalla donna che aveva denunciato il marito per violenze domestiche.

I giudici di Strasburgo hanno affermato che “non agendo prontamente in seguito a una denuncia di violenza domestica fatta” dalla mamma del ragazzo “le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto, creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che alla fine hanno condotto al tentato omicidio della donna alla morte di suo figlio“.

Nella fattispecie vi è stata violazione degli artt. 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione Europea dei Diritti Umani.

La sentenza di secondo grado è stata, quindi, annullata con rinvio al giudice dell’Appello per la quantificazione della pena, prescrivendo che non sia inferiore a sedici anni di reclusione.

 

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