Le spose – bambine: come si può restare indifferenti a questo fenomeno?
Un fenomeno che riguarda anche il nostro Paese dove la pratica dei matrimoni forzati è molto diffusa: “In Italia viene stretto l’accordo: i genitori della bimba la promettono in sposa a un uomo molto più grande in cambio di denaro e del mantenimento della ragazzina“, ma le nozze sono celebrate nei Paesi di origine.
Ecco cosa si legge nella relazione alla proposta portata in Commissione Giustizia del Senato che ha iniziato ad esaminare i ddl aventi la finalità di introdurre nel Codice Penale i reati di costrizione al matrimonio, induzione al viaggio finalizzato al matrimonio e costrizione al matrimonio di persona minorenne, oltre all’aggravante specifica in caso di femminicidio, con pene previste da tre ad otto anni nel caso di matrimonio portato a termine; da uno a tre anni in caso di viaggio finalizzato a tale scopo e, se a essere coinvolte sono persone della famiglia, pena da sei a quindici anni.
In attesa degli esiti dei lavori della Commissione Giustizia, si segnala la sentenza n. 40663/2016 della Corte di Cassazione che ha condannato per maltrattamenti in famiglia e per concorso in violenza sessuale, il padre indiano della minore per avere permesso al futuro genero di abusarne sessualmente, costringendo la figlia ad avere rapporti contro la sua volontà.
Nella fattispecie il padre aveva fatto poi sposare la minore con rito religioso: il “marito”, trasferitosi in Italia presso la casa della ragazza, la costringeva a rapporti sessuali, nonostante il rifiuto della stessa, sottoponendola a violenze fisiche e psicologiche a seguito del suo rifiuto.
Nel giudizio di merito si era ritenuto assorbito nel delitto di maltrattamenti il reato di violenza sessuale affermando che la condotta del padre rappresentava non già la volontà di abbandonare la figlia al comportamento violento del fidanzato-promesso sposo, quanto l’espressione di una modalità maltrattante propria della formazione culturale della famiglia.
Con questa motivazione, non condivisa dalla Suprema Corte, si afferma il delitto di maltrattamenti e si esclude il coinvolgimento del padre nella colpevole tolleranza verso il “genero” per le condotte abusanti in danno della figlia con loro convivente.
La minore era quindi “vittima sacrificale in ossequio a regole non scritte di legittimità del dominio sessuale per effetto del vincolo matrimoniale secondo i costumi indiani“, laddove il padre avrebbe dovuto vigilare sulla stessa per evitare che subisse le violenze che la giovane aveva denunciato ripetutamente, rimanendo inascoltata.
Nel caso di specie il padre era a conoscenza della situazione di oppressione sessuale della minore da parte del fidanzato-futuro sposo, sia perché diretto testimone sia perché a conoscenza della contraria volontà della minore.
Egli deve, dunque, rispondere a titolo di causalità omissiva (art. 40 c.p.) degli atti di violenza sessuale compiuti in danno della figlia in quanto a conoscenza dell’evento o in grado di conoscerlo, avendo altresì la possibilità soggettiva di impedirlo.
Non è, dunque, giustificabile il genitore, che, a causa della sua formazione culturale, ritenga di potere imporre alla figlia di ubbidire ai voleri dello sposo. Si tratta, infatti, di “una vera e propria banalità che non può trovare ingresso nel nostro sistema giuridico e che non può non sorprendere per la facilità e superficialità con la quale tale affermazione sua stata fatta quasi nel segno dell’ovvietà“.
Tra i reati in contestazione non può esservi assorbimento poichè il delitto ex art. 572 c.p. concorre con quello ex art. 609-bis c.p. qualora le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a provocare sofferenze psichiche alla vittima, ledano anche la sua libertà di autodeterminazione sessuale, considerata la diversità dei beni giuridici offesi.
Potrebbe aversi assorbimento solo qualora vi fosse piena coincidenza tra le due condotte, ciò che non si è verificato nella fattispecie in cui i maltrattamenti lamentati dalla ragazza non si limitavano alla violenza sessuale, ma consistevano anche in umiliazioni o privazioni dell’autonomia decisionale ad opera del genitore che imponeva alla figlia costrizioni di ogni tipo giustificati da una totale ubbidienza al fidanzato poi sposo.
La sentenza va annullata senza rinvio.