Maltrattamenti in famiglia

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9154/2017, ha condannato – confermando la condanna di secondo grado – per maltrattamenti in famiglia un padre geloso ed iperprotettivo per avere ingiuriato e tenuto condotte violente verso la figlia minore.

Nel merito era, infatti, emerso che la minore, per circa un anno, era stata sottoposta a maltrattamenti continui consistenti in ingiurie e violenze fisiche.

La Suprema Corte ha affermato che “il compimento di più atti di natura vessatoria idonei a determinare sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, integra il delitto di maltrattamenti, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo sufficiente la loro ripetizione, anche se per un limitato periodo di tempo“.

La difesa dell’uomo ha tentato di giustificare con una asserita “finalità educativa” i comportamenti dello stesso: in realtà le esigenze di educazione non possono certo giustificare atteggiamenti vessatori e condotte violente, che integrano piuttosto maltrattamenti psichici e fisici.

La Cassazione afferma, infatti, che “l’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche dove fosse sostenuto da animus corrigendi, integra il delitto di maltrattamenti“.

Secondo la Suprema Corte è, dunque, stata correttamente confermata nel merito la responsabilità dell’imputato anche sotto il profilo soggettivo, in quanto il reato in oggetto richiede il dolo generico, ovverosia la coscienza e volontà di sottoporre la persona di famiglia ad un’abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza.

Il ricorso è, dunque, inammissibile.

 

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