La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 11808/2018, ha stabilito che quando l’omosessualità del coniuge emerge durante il matrimonio e dopo una convivenza prolungata durante la quale è nata una figlia non può essere delibata la sentenza dei giudici ecclesiastici che hanno deciso per la nullità del matrimonio.
Nel caso in oggetto la moglie aveva agito in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale e confermata dalla Sacra Rota avuto riguardo all’incapacità del marito “ad assumere gli oneri e gli obblighi del matrimonio” poiché omosessuale.
Secondo la Suprema Corte la prolungata convivenza dei coniugi dopo la celebrazione del matrimonio impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, in quanto essa esprime una volontà di accettazione del rapporto.
La Corte di Cassazione – a Sezioni Unite – nel 2014 ha stabilito che la convivenza “come coniugi“, quale elemento essenziale del “matrimonio-rapporto“, laddove si sia protratta per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, si configura quale situazione giuridica di “ordine pubblico italiano“, che va tutelata in forza dei principi di sovranità e laicità dello Stato, precludendo la dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del “matrimonio-atto“.
Nel giudizio di secondo grado era stato accertato che la convivenza dei coniugi si era protratta per circa quattordici anni di cui nei primi sei-sette le parti avevano avuto “una condotta oggettiva coerente con l’unione coniugale” decidendo congiuntamente di avere una figlia e, solo dopo la nascita di quest’ultima, era emersa l’omosessualità del marito.
Gli Ermellini hanno dichiarato il ricorso della moglie inammissibile.