La Corte di Cassazione, con sentenza n. 104/2018, ha stabilito che anche il corteggiamento serrato può diventare stalking né rileva che esso si sia perpetrato per soli tre giorni.
Nella fattispecie una donna aveva denunciato un uomo che aveva avuto nei suoi confronti comportamenti quali appostamenti, avvicinamenti e pedinamenti per tre giorni.
L’imputato veniva condannato per il reato di stalking sia in primo che in secondo grado.
In particolare, la Corte d’Appello ha evidenziato il crescendo dei comportamenti dell’uomo sempre più ossessivi e tali da invadere la sfera personale della persona offesa “così da cagionarle un perdurante e grave stato di ansia e di paura, costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita“.
Secondo l’uomo il proprio comportamento integrava “un corteggiamento non corrisposto, ma sicuramente non tale da determinare nella parte offesa uno stato di ansia ed una modifica delle proprie abitudini di vita“.
Egli affermava di non essere mai era stato minaccioso, aggressivo o molesto e che le sue azioni erano circoscritte in soli tre giorni “tempo sicuramente non sufficiente a scatenare uno stato di ansia grave e perdurante, così come indicato dalla norma incriminatrice“.
L’uomo ricorre, dunque, in Cassazione.
La Suprema Corte, però, ritiene il ricorso inammissibile – in quanto generico e contenente censure già sviluppate in appello – e condivide la decisione del giudice di merito circa la riconducibilità delle condotte dell’uomo al reato di stalking: la sentenza impugnata “ritenuta la ricostruzione degli avvenimenti effettuata dalla persona offesa pienamente attendibile, ha posto in evidenza con assoluta chiarezza il crescendo dei comportamenti invasivi della libertà personale e della sfera personale della p.o. da parte dell’imputato, comportamenti via via sempre più ossessivi, tradottisi in appostamenti, pedinamenti, avvicinamenti anche fisici, apprezzamenti ecc.“.
Condotte che hanno determinato nella vittima “uno stato di timore e di ansia, costringendola a modificare i propri comportamenti“.
Gli Ermellini hanno richiamato i principi affermati nella sentenza n. 18646/2017 della V Sezione Penale secondo cui “ai fini della integrazione del reato di atti persecutori non si richiede l’accertamento di uno stato patologico, ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima”.
Quanto al breve lasso di tempo nel quale sono state poste in essere le condotte, è stato evidenziato “come sia configurabile il delitto di atti persecutori anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto (anche nell’arco di una sola giornata), a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi, pur concentrata in un brevissimo arco temporale, sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice“(Cass. n. 38306/2016).
Il ricorso è dichiarato inammissibile.