La Corte di Cassazione, con sentenza n. 38933/2017, ha stabilito che per aversi violenza sessuale di gruppo non è necessaria l’effettiva partecipazione all’abuso, essendo sufficiente trovarsi sul posto ed agevolare la condotta del “branco”.
Nella fattispecie un soggetto era stato condannato, insieme ad altre due persone, per aver partecipato ad una violenza sessuale di gruppo a danno di una minorenne, dopo averla adescata, condotta in un casolare abbandonato ed indotta in stato d’ebbrezza.
La difesa dell’imputato afferma che non sussistano elementi a suo carico, salvo la neutra presenza sul posto.
Gli Ermellini respingono tale censura richiamando il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui la violenza sessuale di gruppo, autonoma ed a carattere plurisoggetivo, “richiede per la sua integrazione, oltre all’accordo delle volontà dei compartecipi, anche la simultanea effettiva presenza di costoro nel luogo e nel momento di consumazione dell’illecito, in un rapporto causale inequivocabile”.
Non è necessario, dunque, che ogni compartecipe ponga in essere un’attività tipica di violenza sessuale né che realizzi l’intera fattispecie, potendo ciascuno realizzare anche solo una frazione del fatto tipico ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti.
Nel caso in oggetto è provata la piena partecipazione dell’imputato al fatto, stante la sua presenza nelle fasi decisive della vicenda: egli, infatti, ha dato il suo contributo a tutti i momenti antecedenti e strumentali alla violenza (accompagnamento della ragazza in una casa di campagna con una scusa, stato di ebbrezza indottole) e successivi ad essa (tentativo di rianimazione dopo la violenza) fino alla fuga finale.
Nell’affermazione della responsabilità del soggetto si prescinde, dunque, dall’effettiva partecipazione all’abuso sessuale in sé: l’intervento dell’imputato e dei correi è stato, infatti, riferito ad un’azione concordata nell’ottica della violenza sessuale.